Un istituto da ripensare
Il tema della conversione dell’impugnazione, nelle sue molteplici sfaccettature, non può dirsi abbia goduto di attenzione centrale nel pur ampio dibattito che, soprattutto nel più recente scorcio, ha investito la materia delle impugnazioni penali. L’istituto si mostra, tuttavia, tutt’altro che marginale sul piano degli impatti di sistema: le modifiche normative che hanno toccato, da ultimo, i profili della legittimazione oggettiva e soggettiva ad impugnare la sentenza di primo grado si riflettono, piuttosto, sul suo funzionamento, nell’ambito del processo sia cumulativo sia monosoggettivo, finanche premendo sui volumi del principio di tassatività delle impugnazioni.
Questo studio intende esaminare i modi d’operare della conversione, muovendo dalla lettura offertane dalla giurisprudenza: sullo sfondo si staglia il richiamo, da parte dell’art. 580 c.p.p., alla connessione ex art. 12 c.p.p. e l’interrogativo sull’opportunità, de iure condendo, di un suo mantenimento, anche alla luce delle interazioni con l’altro istituto – l’effetto estensivo – che centralmente investe il rapporto tra processo cumulativo e impugnazioni.